Uber e Taxi, la Consulta non ferma la piattaforma digitale

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Uber e Taxi, una questione delicata. Riportiamo l’autorevole analisi di Lorenzo Savastano, capitano della Guardia di Finanza, pubblicato da il Centauro, rivista di ASAPS, Associazione Sostenitori ed Amici della Polizia Stradale.

La Sentenza n. 256/2016 della Corte Costituzionale. Non è possibile inibire i servizi di trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea su strada, offerti dalle nuove tecnologie digitali, sulla base di una normativa regionale. Una limitazione in questo senso sarebbe, infatti, eccedente rispetto alla competenza regionale – perimetrata dalla stessa Costituzione – in materia di concorrenza.

L’importante pronuncia promana dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 256, depositata lo scorso 16 dicembre 2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Piemonte 6 luglio 2015, n. 141, accogliendo una delle due questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117 della Carta. Ad essere stigmatizzata è stata, infatti, l’ingerenza del normatore regionale nella delicata materia della concorrenza (materia riservata alla legislazione esclusiva statale) esercitata sul mercato dei trasporti dalle nuove forme digitali di mobilità stradale.

La sentenza del giudice costituzionale rappresenta, a ben vedere, il primo landmark a livello nazionale nel settore in commento. Offrendo diversi motivi di riflessione non solo in riferimento al fenomeno della c.d. uberization del trasporto stradale. Ma anche agli addetti ai lavori.

Bersaglio mobile: UBER e l’economia collaborativa

Il target (dichiarato) della normativa piemontese era, come accennato, una delle più rivoluzionarie innovazioni nel campo dei trasporti stradali degli ultimi anni: l’applicazione digitale UBER. Figlia della sharing economy, ovvero di un nuovo modello di economia fondato sullo scambio, dietro corrispettivo, di beni e servizi tra pari in uno scenario completamente digitalizzato (peer to peer), UBER è l’app informatica – nata a San Francisco – che ha reso possibile l’erogazione worldwide di servizi di trasporto su strada on-demand.

Lo scopo è concettualmente semplice: tagliare ogni distanza tra il fornitore del servizio (ovvero: chiunque sia in possesso di un’autovettura e si sia registrato sulla piattaforma digitale) ed utente dello stesso (ergo: chiunque abbia bisogno di spostarsi da un punto all’ altro della città).

Una loso a di consumo che ha suscitato l’arroccamento (vigoroso) delle associazioni di categoria di tassisti e noleggiatori con conducente, che hanno visto ex abrupto sfarinarsi importanti fette di mercato nelle principali città italiane, e provocato incertezze anche da parte degli organi preposti al controllo stradale, sovente disorientati dall’assenza di un’ auspicabile normativa nazionale in materia e da un orientamento decisamente ondivago dei tribunali di merito.

Mobilità non di linea: un interesse pubblico

Oggetto della censura di costituzionalità, da parte del Governo, è stato l’articolo 1 della Legge regionale del Piemonte n. 14/2015, che inserisce l’art. 1-bis nella legge regionale n. 24 del 23 febbraio 1995 n. 24, informante la circolazione stradale non di linea nella regione sabauda ai sensi della legge 15 gennaio 1992, n. 21.

Il secondo comma del mentovato art. 1 sancisce, difatti, che costituiscono “servizi pubblici non di linea su strada” quei “(…) servizi che provvedono al trasporto collettivo od individuale di persone, con funzione complementare ed integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta”. Rientrano pertanto in tale tassonomia:

a) il servizio di taxi con autovettura, motocarrozzetta e veicoli a trazione animale;

b) il servizio di noleggio con conducente e autovettura, motocarrozzetta e veicoli a trazione animale.

In tale framework si inserisce l’impugnato art. 1-bis, signi cativamente rubricato “Esclusività del servizio di trasporto”, che dispone recisamente che “Il servizio di trasporto di persone, che prevede la chiamata, con qualunque modalità effettuata, di un autoveicolo con 

’attribuzione di corresponsione economica, può essere esercitato esclusivamente dai soggetti che svolgono il servizio di cui all’articolo 1, comma 3, lettere a) e b)”, ovvero solo da coloro che effettuano servizio taxi o noleggio con conducente (NCC). Il mancato rispetto delle rassegnate disposizioni comporta, in ne, l’applicazione delle sanzioni previste dalla normativa piemontese, che rinviano agli artt. 85 e 86 del D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (nuovo Codice della strada).

Alle radici della decisione del regolatore regionale vi sono non solo analoghe (ma sparute) esperienze locali. Ma anche una sorta di pattern normativo (nazionale ed europeo) volto ad escludere la liberalizzazione del settore dei servizi di trasporto su strada. In favore di un “regime amministrato” (ossequioso del principio di libera iniziativa economica di cui all’ art. 41 della Costituzione), garante della tutela di preminenti interessi pubblicistici. Un interesse che, a giudizio della parte resistente, è riferito non solo alla mobilità e alla libera circolazione delle persone. Ma anche alla tutela della loro salute e sicurezza. Tale da garantire un servizio sicuro. Anche in periodo e orari in cui la domanda è meno intensa.

Ed è proprio l’interesse pubblicistico sotteso al segmento del trasporto stradale non di linea, il vero pilastro concettuale del legislatore regionale, che espressamente riconduce il proprio intervento all’impianto regolamentare tracciato dalla legge n. 21 del 1992 (“Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea”), nonché alle preminenti disposizioni del nuovo Codice della strada, regolanti la materia in commento. Un set di disposizioni dal quale è inferibile come l’attività di trasporto di persone mediante autoservizi non di linea, possa essere svolta solo da soggetti in possesso dei requisiti normativamente previsti ed iscritti allo speci co ruolo dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea, tenuto presso le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, ovvero titolari di licenza taxi o di autorizzazione di NCC.

Lo stop della Consulta: questione di concorrenza

Afronte delle rationes della normativa anti- UBER piemontese, la Corte Costituzionale, in parziale accoglimento delle censure opposte dal Governo, ravvisa: “(…) una invasione nell’ambito della tutela della concorrenza riservato alla competenza dello Stato, determinando altresì una potenziale interferenza con l’eventuale esercizio, in un senso differente e innovativo, della competenza stessa da parte del legislatore statale”.

Definendo il novero dei soggetti abilitati ad operare nel settore dei trasporti di persone con le nuove modalità informatiche, difatti, la disposizione impugnata assume una posizione dirimente, provocando l’effetto di riservare in via esclusiva l’esercizio di tali attività alle categorie abilitate a prestare servizi di taxi e di noleggio con conducente. Come a dire: de nire un numerus clausus nell’erogazione di un servizio è un intervento che esorbita dalla materia della gestione trasporto pubblico (di competenza regionale), ma che tange il principio della concorrenza tra soggetti economici, di diverso lignaggio nazionale ed europeo.

Propter hoc, il giudice costituzionale chiude il sillogismo riconoscendo che definire normativamente la categoria soggettiva di erogatori di un servizio è una scelta che “impone un limite alla libertà di iniziativa economica individuale e incide sulla competizione tra operatori economici nel relativo mercato”. Aspetto che, in coerenza con il dettato costituzionale, rientra pienamente nell’ampia nozione di concorrenza di cui all’art. 117, comma 2, lett. e) della Costituzione. La quale include sia gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza (id est le misure legislative in senso proprio), sia le misure di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, riducendo i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche.

Risultato: la legge piemontese è illegittima e la materia dovrà necessariamente essere normata a livello statale.

UBER tra Italia e Bruxelles: una strada tortuosa

In contrasto con il silenzio della normativa nazionale, il fenomeno UBER, unitamente al più ampio genus della sharing economy, è sempre più diffuso, registrando volumi crescenti (ed imponenti) di fatturato e transazioni P2P nei settori del noleggio di alloggi, servizi domestici su richiesta, servizi professionali on demand e della nanza collaborativa.

La repentina metamorfosi del business digitale non ha, comunque, lasciato indifferenti le istituzioni europee. Come mostrano le importanti guidelines varate dalla Commissione europea lo scorso giugno. La rilevanza delle linee-guida si misura anche in relazione alla sentenza della Consulta in commento. Dal momento che è la stessa Bruxelles a sostenere che “coloro che offrono servizi dovrebbero essere obbligati a ottenere autorizzazioni o licenze solo quando strettamente necessario per raggiungere obiettivi rilevanti di pubblico interesse”, concludendo che “la messa al bando di un’attività dovrebbe essere una misura di ultima istanza”.

E mentre l’Italia ha in stand-by una proposta di legge tesa a regolamentare (o meglio a tassare) i flussi di reddito generati dalle nuove forme di economia collaborativa, l’elaborazione di policy uniformi assume sempre più un contegno sovranazionale. Di recente, un giudice spagnolo ha chiesto alla Corte di Giustizia se UBER debba essere assimilato ad una società attiva nel settore dei trasporti o dell’economia digitale. Dalla risposta di Lussemburgo dipende la scelta delle regole da applicare. Se quelle più liberali dell’economia elettronica o quelle più restrittive della mobilità stradale.

Altro punto di incertezza è, inoltre, la categorizzazione degli autisti UBER tra i lavoratori autonomi o dipendenti. Una scelta dalla quale potrebbero derivare effetti detonanti (e distorsivi). Primariamente dal punto di vista tributario ed impositivo. La tendenza, espressa nel citato documento d’indirizzo della Commissione, è quella di identi care dei criteri di distinzione basati sull’esistenza di un rapporto di subordinazione. (dunque la direzione della piattaforma digitale nella scelta delle attività, livelli di retribuzione e condizioni lavorative). Dulla natura del lavoro (se avente o meno un valore economico reale ed effettivo, escludendo quindi le prestazioni marginali ed accessorie). E sulla retribuzione (il nodo è quello della congrua remunerazione del servizio offerto).

Proprio il criterio della retribuzione potrebbe, ad esempio, concorrere ad una preliminare distinzione tra UBER (in cui l’autista ottiene un prodotto tout court) ed altre app digitali. Come la francese BlaBlaCar, in cui il meccanismo retributivo è basato sulla condivisione dei costi del trasporto tra trasportatore ed utente. (circostanza che farebbe scivolare, altresì, l’ultima delle app richiamate nella fattispecie normativa di cui all’art. 82 del Codice della strada, essendovi una condivisione del trasporto su strada assimilabile al car sharing).

Unstoppable Uber

Intanto la corsa di UBER e della sharing economy continua spedita ed inarrestabile. Di certo, de nire in tempi brevi delle regole condivise ed uniformi a livello nazionale ed europeo. Che coniughino istanze di sicurezza stradale ed af evoliscano anacronistici protezionismi corporativi in danno ai consumatori. E’ l’unico modo per salire a bordo di una delle più importanti digital opportunity del trasporto stradale dell’ultimo decennio. L’unico modo, per le istituzioni competenti, per essere protagonisti. E non spettatori di uno scintillante, ma anche irreversibile, progresso.

 

Ultima modifica: 22 Marzo 2017