Enzo Ferrari, 29 anni dalla scomparsa di un eroe italiano

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Enzo Ferrari, 29 anni dalla scomparsa di un eroe italiano. Il 14 agosto 1988 moriva l’uomo che ha realizzato un mito. Il Marchio automobilistico più celebre e apprezzato del mondo. L’uomo che nelle corse e su strada ha creato le emozioni più forti. Per l’Italia, nel mondo. Sono passati quasi trent’anni, ma il Drake resta unico. E tra pochi giorni la sua creatura compirà 70 anni. Sempre più amata. Vertice della tecnologia automobilistica e dello stile.

Chi meglio del nostro Leo Turrini può raccontarlo?

Riproponiamo l’articolo con cui presenta il suo libro “Enzo Ferrari, un eroe italiano“.

Riscoprire la figura di Enzo Ferrari significa anche recuperare una certa idea dell’Italia. Una Italia nella quale ancora era possibile trasformare il sogno in realtà. L’intuizione in capolavoro geniale, la fatica quotidiana in esaltazione della laboriosità. Una Italia, quella del Novecento secolo breve, che il protagonista di questa storia sempre volle, ostinatamente, chiamare non già Paese, bensì Patria. In omaggio ad un sentimento che non sarebbe sbagliato definire Risorgimentale.

Sì, per una curiosa contraddizione in termini Enzo Ferrari, padre di un marchio che la modernità del nuovo millennio colloca tra i ‘brand’ più celebri e celebrati del pianeta, sì, Enzo Ferrari fu un uomo dell’Ottocento chiamato a traghettare le sue passioni verso le sponde di un futuro che nemmeno avrebbe osato immaginare.

Profeta in Patria. Lui, figlio di una terra contadina, legatissimo a radici modenesi che mai avrebbe tradito, è stato il più cosmopolita degli italiani. Si sentiva e in effetti era un pioniere, con le sue concezioni avveniristiche dominate dalla ossessione per la meccanica. Aveva uno sguardo che si proiettava oltre l’orizzonte, pur restando ancorato ad una quotidianità che ne governava il pensiero.

Ci voleva molto coraggio, in una nazione devastata dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale, nel cuore di un popolo che stentava a rinunciare ad una consolatoria dimensione rurale, ecco, ci voleva molto coraggio, nel 1947, per scommettere sull’automobile non già come mero strumento per la locomozione di massa, bensì come oggetto di lusso destinato a rivelarsi opera d’arte. Ed è francamente stupefacente che a cogliere una prospettiva tanto ardita sia stato un personaggio che si confessava a disagio tra i contemporanei.

Ferrari non amava il prossimo e non nascondeva la sfiducia nei confronti del genere umano. Per questa diffidenza è stato, in tanti articoli di giornale e in tante commemorazioni, presentato come un individuo arido, egoista, disposto a sacrificare qualunque relazione pur di conquistare il successo. Qualcosa di vero, in una interpretazione del soggetto tanto drastica, onestamente c’era. Ma ad una analisi meno prigioniera delle cronache non sfugge l’unicità del Campionissimo.

Come Steve Jobs, ma un secolo prima

Per capirci. Enzo, con quasi cento anni di vantaggio, è stato il Steve Jobs tricolore. Come il padre della Apple ha anticipato sogni e desideri delle masse, con il Mac e l’iPhone passando per l’iPod e l’iPad, allo stesso modo il figlio di un capo officina emiliano ha dato un senso alle pulsioni emotive di intere generazioni. Era un ragazzo e già si rendeva conto, magari contagiato dalle suggestioni dei futuristi, di quanto l’automobile potesse sconvolgere le abitudini del comune mortale.

Era un uomo maturo e capiva che la Velocità, nell’esecuzione come nel pensiero, avrebbe rappresentato il tratto fondamentale di una umanità in fuga dalla noia e in questo le sue vetture e i suoi piloti incarnavano il fascino di una rivoluzione che non aveva colore politico. Mettendo d’accordo destra e sinistra.

Era un anziano imprenditore di straordinario successo e ancora coltivava la passione per la connessione (parola magica!) tra quanto le corse emozionanti suggerivano e l’applicazione pratica sulla produzione di serie, sulle macchine che anche chi non era un Nuvolari o un Lauda sarebbe stato in grado di guidare.

Ultima modifica: 15 Agosto 2017